domenica 27 giugno 2010

COME ERAVAMO: FINDING NEVERLAND...


Estate 1991.

“Dani mettilo sù…poi me lo copi ok?!”

“Sì, te l’ho detto…te lo copio! Che palle che sei…”

In una cameretta di una piccolissima città italiana due (ancora, ma si sentivano già grandi) bambini sono appena tornati dopo la tappa fondamentale al negozio di dischi.

Il bottino? Un CD. Il titolo è “Dangerous” e l’artista Michael Jackson.


Estate 2009.

Sono passati quasi vent’anni.

Vent’anni da quel primo ascolto nella cameretta del mio amico di quel disco e vent’anni dalla mia prima volta a New York.

Sono ancora a New York e internet mi dice che Jacko non c’è più.

Passo più di qualche mezz’ora nella convinzione che sia una strategia di marketing oggettivamente un po’ troppo estrema.

Nada. E’ tutto vero. La mia infanzia – durata forse troppo, come tutte le cose nella mia vita - muore quel giorno.

Non posso considerarmi un fan di MJ. Ma gli ero sicuramente affezionato, perché è stato uno dei simboli di un periodo irripetibile – sotto tanti punti di vista – che non tornerà mai.

Non ho assistito ai Beatles o a Elvis. Non c’ero quando i Led Zeppelin o i Pink Floyd erano al loro apice. Non ho neanche visto i Genesis. Ma lui sì, cazzo!

Mi ricordo del guanto coi brillantini, dei calzini bianchi e di “Neverland”.

Mi ricordo della fascia al braccio e dei video milionari diretti dai migliori registi del cinema di quel periodo.

Mi ricordo “Thriller” di John Landis e il moonwalk di Billie Jean. I Ray-Ban specchiati e il ricciolo che cadeva sulla fronte.

Mi ricordo “We are the World” e mio padre che inveiva contro il “suo” Lionel Richie che si faceva coinvolgere in quelle cazzate…

Mi ricordo che avevo assillato mia mamma per mesi perché non riuscivo a capire il motivo per cui non potessi avere anch’io una Bubbles.

Mi ricordo tutto questo e non mi va di affrontare il resto, chè mi voglio ricordare solo l’artista, anzi il performer.

Il più grande che sia mai esistito.

E' passato un anno...

martedì 22 giugno 2010

STRAIGHT INTO COMPTON:

L’8 agosto non è una data come le altre.

Per una serie di motivi.

Ad esempio perché l’8 agosto 1988 è nato Danilo Gallinari, quite possibly quello che diventerà il più grande giocatore di pallacanestro che l’Italia abbia mai avuto.

Quello stesso giorno – l’8/8/’88 – a qualche migliaio di chilometri di distanza nasceva anche il gangsta rap della West Coast.


Siamo nell’area sud di Los Angeles, dove un gruppo (o una crew come sarebbe più corretto dire) che si faceva chiamare “N.W.A.” - i Niggaz Wit Attitudes, capitanato da colui che contende a Russell Simmons e Rick Rubin lo scettro di miglior produttore hip-hop mai esistito, Dr. Dre, più altri quattro thugs (Ice Cube e Eazy-E su tutti) – fece uscire proprio quel giorno il suo primo e più famoso singolo: “Straight Outta Compton”.

Il quartiere più violento e cattivo (forse ai punti con Inglewood) della città degli angeli era improvvisamente famoso in tutta l’Unione e l’Hip-Hop di denuncia sociale non era più una roba esclusiva di Harlem o del Bronx.

Era ufficiale: se eri coloured stavi di merda anche a Los Angeles. E tanti saluti alla Sunny California.

Da qui a Rodney King mancano solo tre anni: le immagini di George Holliday finiranno in tutti i notiziari del mondo, trasformando la L.A. Area in una bolgia.

Spike Lee utilizzerà quel footage per aprire il “suo” “Malcolm X”, un anno dopo.

In quel momento di massima violenza gli “N.W.A.” avranno già iniziato a perdere i pezzi.

Questa, però, è un’altra storia.


- “Ron, What About Tonight?”

- “We Just Had a Nice Dinner…”

- “ Are You Gonna Go to Disneyland?”

- “Hell No, I’d Rather Go to Compton!”


Compton.

Ancora.

Questa volta nel dialogo – singolare anzichenò – tra un paparazzo e Ron Artest, che ha appena vinto il suo primo anello con i Lakers.

Già, perché il 17 giugno 2010 i Los Angeles Lakers hanno conquistato il loro 16esimo titolo NBA, il secondo consecutivo, dopo una serie estenuante contro i rivali per eccellenza, quei Boston Celtics adesso distanti un solo banner.

Serie finita alla settima partita, ma se ne avessero giocate settanta noi non ci saremmo di certo lamentati. Non perché sia stata una serie particolarmente bella tecnicamente, ma perché è stata LA SERIE.

Los Angeles contro Boston vuol dire Magic Johnson contro Larry Bird, Hollywood contro gli irlandesi, i fighetti abbronzati contro la classe operaia, gli attori frivoli contro i politicamente impegnati, il bene contro il male. E scegliete voi da che parte stare…

Dopo una serie non esaltante in quella gara 7 è arrivato il turno di Artest Ron.

Nato al di fuori di queste geografie, a New York, è arrivato ai Lakers un anno fa solo per vincere l’anello.

Ha firmato con la franchigia hollywoodiana a poche settimane di distanza da una quasi rissa con il blackmamba, durante la sua militanza in maglia Rockets. Non proprio i migliori presupposti per un’unione idilliaca.

E invece, è andato tutto bene. Anche troppo.

A tratti – soprattutto in regular season – sembrava che Ron fosse fin troppo calmo, quasi irriconoscibile.

Poi quando veramente contava s’è fatto vivo.

“Porta linfa vitale al nostro gioco e al nostro pubblico. E’ chiaramente l’MVP di questa sera.”, music and lyrics by Phil Jackson - il Maestro Zen in persona - che di solito non è troppo in confidenza con i complimenti ai giocatori.

Soprattutto con quelli che allena.

Odom è stato qualcosa di più che altalenante, arrivando a toccare quasi il fastidioso. Gasol se non avessimo avuto il fattore campo a favore, probabilmente ci sarebbe costato la serie. Bynum è un lusso che nessuna squadra si può permettere nel lungo termine, chè non si può passare la stagione ad aspettare un – se pur buonissimo – giocatore.

IlGeniodelMale si è confermato il miglior giocatore del mondo. Punto.

Ma “Ultimate Warrior” ha dato il quid in più proprio quando serviva, anche in attacco.

Saranno i capelli, sarà la capacità disarmante di entrare nella mente dell’avversario su cui difende, ma rimane il fatto che ricorda – a tratti – il miglior Dennis Rodman a memoria di chi scrive, quello del Three Peat dei Bulls.

Dato che le coincidenze non esistono, come Rodman ai Bulls (91) e agli stessi Lakers (73) – nella sua vita cestistica più colpevolmente breve – anche Artest ha scelto una maglia i cui numeri sommati dessero un 10 come risultato, il 37.

Un caso? Col cavolo…riprendete in mano il bignami sul binomio musica e basket: 37 sono le settimane consecutive in cui “Thriller” è rimasto al primo posto nella classifica BillBoard.

Un record assoluto per un genio sbagliato come pochi che rispondeva (ahinoi) al nome di Michael Jackson…

“Genio” e “sbagliato” a volte s’incontrano e quello che viene fuori è il talento. Anche quello di essere diversi dagli altri.

Bravi tutti.

venerdì 18 giugno 2010

SWEET SIXTEEN: IN RON WE TRUST



NBA Finals 2010: Los Angeles Lakers campioni, Kobe Bryant MVP.

Tutto come un anno fa? Manco per sogno…

Il black mamba può alzare il trofeo e gioire chè la scimmia ormai dalla spalla è scesa e non ci tornerà più, ma non mi dite che questi sono i Lakers di dodici mesi fa…

Perché tra giganti-bambini che farebbero prima ad andare a Lourdes e sperare in una benedizione miracolosa, catalani che quando vedono la bestiameglioconosciutacomeKevinGarnett si trasformano in Ga-soft (ovvero la versione kryptonitica di un grande giocatore) e newyorchesi talentuosi sì, ma che se ti sposi una delle sorelle Kardashian (tra l’altro con l’aggravante di essere quella che con i capelli a zero sembra Fisher, cazzo almeno scegli la più figa…no niente…) allora non è che puoi aspettarti più di tanto…

Arriva uno che è più uguale degli altri, un altro newyorkese, ma di quelli che “puoitirarefuoriunuomodalghettomanonpuoitirareilghettofuoridaunuomo” e allora tutto cambia e per voi sono cazzi…

Prima dichiarazione appena firmato con i Lakers un anno fa: “Non fatemi neanche pensare a quanti soldi ho dovuto rinunciare per essere qui e vincere il titolo” (n.d.r. non ha detto “provare a”, ha detto “vincere”, cojones)

Prima dichiarazione dopo la sirena di gara-7: “Ringrazio il mio psichiatra” (qui è fortemente gradita la standing ovation).

Non sono i venti punti di stanotte – 20 punti con tutta la difesa che ha messo sul parquet…fantascienza – ma è quel tiro da tre…brutto nello stile, ma perfetto in tutto il resto, immagine di uno che non ha mai cercato essere qualcun altro, plasmando la sua vita sulla versione che gli altri avrebbero voluto vedere (sorry, KB, truth hurts), ma che è sempre e solo stato se stesso,”‘Cause if I Gotta Die, Rather on My Side”…

Quindi, nel giorno della consacrazione di Bryant – come se non fosse stato già abbastanza chiaro a tutti – a miglior giocatore di questo pianeta, noi omaggiamo Ron-Ron, “TruWarrior” come lo conoscono al Rucker Park, oppure “fatty-boy” come un giorno lo chiamò un poveretto prima di ricevere un treno - mascherato da pugno - dritto in faccia.

Grazie Ron, di tutto. E di cuore. Magari grande come il tuo.

martedì 1 giugno 2010

Eastwood, Clint Eastwood...


San Francisco è un posto strano.

E’ la città di Alcatraz e quella di Castro insieme.

Del primo sapete tutto, del secondo dovreste, ma se non è così è suffciente sapere che se cercate il primo posto negli Stati Uniti in cui due esseri umani dello stesso sesso hanno camminato mano nella mano alla luce del sole, allora look no further.

Per questo, ormai 80 anni fa, Clinton Eastwood - meglio conosciuto solo come “Clint”, più asciutto e diretto come tutto ciò che lo riguarda - non poteva nascere altrove.

Solo la città degli opposti e delle contraddizioni poteva dare i natali ad uno che ha passato metà della propria carriera a combattere contro i (pre)giudizi di quelli “bravi” che ne stroncavano le capacità attoriali e l’altra metà a riscrivere la storia del cinema, diventando il più grande autore americano contemporaneo.

Sembrava destinato a sbarcare il lunario come corpaccione televisivo in “Rawhide”, ma poi un visionario e megalomane racconta-storie romano e romanesco colse in lui qualcosa che gli altri non vedevano e lo portò in Italia. Correva l’anno di grazia 1964 e “Per un pugno di dollari” avrebbe aperto una stagione incredibile del cinema italiano e mondiale. Clint nostro, intanto, imparava...

Nei successivi due anni Sergio Leone e “l’uomo senza nome” si dedicarono a completare insieme la trilogia del dollaro – con “Per qualche dollaro in più” e “Il buono, il brutto e il cattivo” – cementando una delle unioni più singolari della storia del cinema: tanto era esagerato, larger than life ed opulento Leone, tanto era asciutto, essenziale e senza fronzoli Eastwood.

Dopo una serie di ruoli “da duro” – un nome su tutti, quello di "Dirty" Harry Callahan, in italiano “Callaghan” – dove sembrava non poter abbandonare mai l’oggetto di scena più caro (la pistola) alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, “lostranierodagliocchidighiaccio” stupisce il mondo con la regia di “Bird”, biopic sul nero che una mattina si è svegliato e ha deciso che il jazz non era male, ma si poteva fare di più: Charlie “Bird” Parker.

Se il cinema era stupito che l’ex uomo pistolero con due espressioni (una con il cappello e una senza) potesse avere quel tipo di sensibilità artistica, beh...avrebbe fatto meglio a mettersi comodo che non aveva ancora visto niente...

La data astrale è 1992, il titolo è “Gli Spietati” ed il genere completamente rivoluzionato e reinventato è quello – tanto amato – del western. Primo Oscar alla regia per Clint, e tante care cose a quelli che ancora si sbattono ad etichettare cose e persone...

L’anno successivo, cambia radicalmente registro portando sullo schermo “Un mondo perfetto”, dove la relazione tra vittima e carnefice tocca livelli altissimi (se lo avete visto e non vi siete commossi non vi voglio neanche conoscere)...

Seguono i capolavori assoluti come “Mystic River”, “Million Dollar Baby” e “Lettere da Iwo Jima”, preceduti da alti – come “Potere assoluto” – e bassi – “I ponti di Madison County”, ma perchè Clint?! –ma ormai Eastwood da maschera perfetta per il “duro” born in the U.S.A. è diventato icona senza tempo e senza spazio. Come sancisce “Gran Torino”, semplicemente IL CAPOLAVORO.

“Avete mai fatto caso che ogni tanto s'incrocia qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io...”

Tranquillo Clint, noi volevamo solo farti gli auguri...