martedì 5 ottobre 2010

Ma noi tutti ‘sti asciugamani non li abbiamo mica: ovvero “perché noi saremo buoni, ma gli americani devono sempre essere meglio”

L’Europa e l’America. La FIBA e la NBA. Due mondi (universi, galassie) molto più lontani di quanto possa sembrare e che – almeno per il sottoscritto – meno si incontrano e meglio è.

L’amichevole tra i New York Knicks e l’Armani Jeans Milano era comunque un’occasione di quelle in cui si può passare sopra alle differenze di cui sopra, per godersi una trasferta dal sapore particolare.

Ricevuto l’accredito stampa, pianifico un week end di stalking puro ai danni della squadra blu-arancio, e pazienza se quello che a giugno sembrava essere l’attrazione numero uno ha deciso di smarcarsi preferendo allenarsi in una base militare con Wade e Bosh piuttosto che sotto la “madunina” nostra.

Premetto che della partita di domenica sera non vi dirò niente – ché tanto quello che volevate sapere lo avete già saputo dai giornali/TV/siti/blog – perché quello che voglio provare a raccontarvi è il mio sabato, o meglio il nostro sabato. Quello di un gruppo di esseri umani, molto diversi tra loro, con in comune la passionaccia per questo gioco…

Arrivo al “Westin Palace”, in Piazza della Repubblica, prima delle 10 per ritirare il pass. L’albergo è quello dove alloggia la squadra, ma sarebbe meglio dire che è quello dove alloggia l’NBA. Lo spiegamento di forze è imbarazzante e la sala stampa al primo piano di improvvisato ha solo il nome. Almeno una trentina di “media-people” della Lega sono pronti ad accoglierti e guidarti passo-passo.

Ecco, se vi è mai capitato di “coprire” un qualche evento (e neanche necessariamente piccolo) in Italia, probabilmente vi sarà rimasto in bocca il retrogusto amarognolo di un’organizzazione un po’ “pane e salame”. Invece qui si sale di livello. E di molto anche.

Comunque, pass al collo, mi dirigo al mitico “Palalido” ché alle 11 è previsto l’allenamento dei Knicks.

In metro becco coach Dan Peterson che mi racconta come – ai bei tempi – facesse quello stesso tragitto con la squadra per andare alle partite, Mike D’Antoni compreso. Quel D’Antoni che allora faceva il play di Milano e che oggi fa il coach di New York. Bei tempi appunto.

Arriviamo al palazzetto insieme al pullman (pullman…sarebbe più esatto dire shuttle) dei Knickerbockers, dal quale scendono players e friendsandfamily. I primi imboccano le scale per gli spogliatoi, i secondi (la maggior parte almeno) prendono un tot di taxi che un po’ di shopping meneghino fa sempre bene…

Antonello Riva-Davide Pessina-tiziochenonconosco-tiziachenonconosco-Sale Djordjevic-Flavio Tranquillo-IO-Alessandro Mamoli-dirigente Armani Jeans Milano. Questo delirio è l’ordine dei posti nella fila, assolutamente a bordo campo, dove sono seduto. Non provate a giocare a “indovina l’intruso” che è fin troppo facile.

Seguono ore 4 (più o meno) di chiacchiere, commenti, risate e goodtimes come te le sogni la notte. Tra i migliori highlights rimane l’uscita del Pess che, nel momento in cui Amar’e si è levato la maglia, si è alzato in piedi, si è tolto il giubbotto e ha urlato “vediamo chi intimidisce di più adesso!”

La sensazione – da neofita - è quella di essere capitato in mezzo a un gruppo che si conosce/frequenta da almeno trent’anni, chi in campo e chi a bordo campo, e ha condiviso la vita (almeno i momenti più salienti) crescendo insieme.

Si parla (o meglio parlavano) di mogli, di figli, del fratello di Djordjevic, della cena della sera prima al “Tronchetto” in onore di Mike D’Antoni, con tanto di bisca clandestina come ai vecchi tempi, di una delle voci – e delle penne – più amate del nostro basket colpevolmente assente all’evento, e di tanto altro…

E allora tra un Gallo che porta a spasso almeno una decina di chili in meno rispetto all’ultima volta che l’ho visto dal vivo (un anno esatto) e che sembra veramente “one of the guys” e a un Turiaf che si allena 5 minuti a sta fermo mezz’ora ma che quando fa sul serio capisci perché gli paghino lo stipendio…

Tra tre assistenti allenatori SEMPRE a correre in mezzo al campo che sembrano il sergente di “Full Metal Jacket” e un D’Antoni stravolto dai ricordi e dall’emozione…

Tra un Pess che dovrebbe avere un suo reality show e uno Stat che mi ha fatto perdere venti anni di vita arrivandomi alle spalle urlando come un pazzo “The President!!!” (stava “solo” chiamando Danilo, che in Italia per i Knicks è il presidente) e – soprattutto - un magazziniere dell’Olimpia che dice a D’Antoni – in milanese strettissimo – “ai nostri tempi avevamo tre asciugamani per tutta la squadra, questi (gli americani) ne hanno dieci a testa…che roba…”…ho passato una giornata in compagnia di gente “del basket” e “di basket” irripetibile…molto meglio di uno show di marketing puro travestito da partita (combattuta nel risultato solo per i giornali italiani) di una domenica d’inizio ottobre…

Un paio di note per chiudere:

Chiedo scusa a Stoudemire per tutte le volte che ho detto che era solo un “fisico bestiale” (cosa difficilmente negabile tra l’altro) e non un vero giocatore: l’ho visto con i miei occhi fare 8/10 da tre in riscaldamento e – durante la partitella – il commento meno entusiasta circa le doti tecniche di Stat è il tranquilliano “che tiri così con quel fisico è irreale, mai vista una roba simile”…

Quando bighellonavo in campo a fine allenamento, fotografando e parlottando con i giocatori (che erano molto in vena) noto un signore molto (moltissimo?!) in là con gli anni, seduto su un seggiolone a bordo campo, cui tutti facevano la reverenza e io pensavo “ma chi cazzo è ‘sto vecchio?!”. Era Donnie Walsh. Che cazzone. Io. Non ne avevo idea, però vi avevo avvisato che in quella fila di seggiolini a bordo campo c’era un intruso…

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