martedì 22 giugno 2010

STRAIGHT INTO COMPTON:

L’8 agosto non è una data come le altre.

Per una serie di motivi.

Ad esempio perché l’8 agosto 1988 è nato Danilo Gallinari, quite possibly quello che diventerà il più grande giocatore di pallacanestro che l’Italia abbia mai avuto.

Quello stesso giorno – l’8/8/’88 – a qualche migliaio di chilometri di distanza nasceva anche il gangsta rap della West Coast.


Siamo nell’area sud di Los Angeles, dove un gruppo (o una crew come sarebbe più corretto dire) che si faceva chiamare “N.W.A.” - i Niggaz Wit Attitudes, capitanato da colui che contende a Russell Simmons e Rick Rubin lo scettro di miglior produttore hip-hop mai esistito, Dr. Dre, più altri quattro thugs (Ice Cube e Eazy-E su tutti) – fece uscire proprio quel giorno il suo primo e più famoso singolo: “Straight Outta Compton”.

Il quartiere più violento e cattivo (forse ai punti con Inglewood) della città degli angeli era improvvisamente famoso in tutta l’Unione e l’Hip-Hop di denuncia sociale non era più una roba esclusiva di Harlem o del Bronx.

Era ufficiale: se eri coloured stavi di merda anche a Los Angeles. E tanti saluti alla Sunny California.

Da qui a Rodney King mancano solo tre anni: le immagini di George Holliday finiranno in tutti i notiziari del mondo, trasformando la L.A. Area in una bolgia.

Spike Lee utilizzerà quel footage per aprire il “suo” “Malcolm X”, un anno dopo.

In quel momento di massima violenza gli “N.W.A.” avranno già iniziato a perdere i pezzi.

Questa, però, è un’altra storia.


- “Ron, What About Tonight?”

- “We Just Had a Nice Dinner…”

- “ Are You Gonna Go to Disneyland?”

- “Hell No, I’d Rather Go to Compton!”


Compton.

Ancora.

Questa volta nel dialogo – singolare anzichenò – tra un paparazzo e Ron Artest, che ha appena vinto il suo primo anello con i Lakers.

Già, perché il 17 giugno 2010 i Los Angeles Lakers hanno conquistato il loro 16esimo titolo NBA, il secondo consecutivo, dopo una serie estenuante contro i rivali per eccellenza, quei Boston Celtics adesso distanti un solo banner.

Serie finita alla settima partita, ma se ne avessero giocate settanta noi non ci saremmo di certo lamentati. Non perché sia stata una serie particolarmente bella tecnicamente, ma perché è stata LA SERIE.

Los Angeles contro Boston vuol dire Magic Johnson contro Larry Bird, Hollywood contro gli irlandesi, i fighetti abbronzati contro la classe operaia, gli attori frivoli contro i politicamente impegnati, il bene contro il male. E scegliete voi da che parte stare…

Dopo una serie non esaltante in quella gara 7 è arrivato il turno di Artest Ron.

Nato al di fuori di queste geografie, a New York, è arrivato ai Lakers un anno fa solo per vincere l’anello.

Ha firmato con la franchigia hollywoodiana a poche settimane di distanza da una quasi rissa con il blackmamba, durante la sua militanza in maglia Rockets. Non proprio i migliori presupposti per un’unione idilliaca.

E invece, è andato tutto bene. Anche troppo.

A tratti – soprattutto in regular season – sembrava che Ron fosse fin troppo calmo, quasi irriconoscibile.

Poi quando veramente contava s’è fatto vivo.

“Porta linfa vitale al nostro gioco e al nostro pubblico. E’ chiaramente l’MVP di questa sera.”, music and lyrics by Phil Jackson - il Maestro Zen in persona - che di solito non è troppo in confidenza con i complimenti ai giocatori.

Soprattutto con quelli che allena.

Odom è stato qualcosa di più che altalenante, arrivando a toccare quasi il fastidioso. Gasol se non avessimo avuto il fattore campo a favore, probabilmente ci sarebbe costato la serie. Bynum è un lusso che nessuna squadra si può permettere nel lungo termine, chè non si può passare la stagione ad aspettare un – se pur buonissimo – giocatore.

IlGeniodelMale si è confermato il miglior giocatore del mondo. Punto.

Ma “Ultimate Warrior” ha dato il quid in più proprio quando serviva, anche in attacco.

Saranno i capelli, sarà la capacità disarmante di entrare nella mente dell’avversario su cui difende, ma rimane il fatto che ricorda – a tratti – il miglior Dennis Rodman a memoria di chi scrive, quello del Three Peat dei Bulls.

Dato che le coincidenze non esistono, come Rodman ai Bulls (91) e agli stessi Lakers (73) – nella sua vita cestistica più colpevolmente breve – anche Artest ha scelto una maglia i cui numeri sommati dessero un 10 come risultato, il 37.

Un caso? Col cavolo…riprendete in mano il bignami sul binomio musica e basket: 37 sono le settimane consecutive in cui “Thriller” è rimasto al primo posto nella classifica BillBoard.

Un record assoluto per un genio sbagliato come pochi che rispondeva (ahinoi) al nome di Michael Jackson…

“Genio” e “sbagliato” a volte s’incontrano e quello che viene fuori è il talento. Anche quello di essere diversi dagli altri.

Bravi tutti.

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